Buddismo,
ti presento lo sciamanesimo (Pt.2) (ENGLISH version follows this post)
Il
Corpo (L'ovest)
1. Lavorare con le sensazioni
2. Sviluppare la propria presenza nel fisico e mondo materiale
3. Rilassamento profondo nel corpo
4. Affrontare la morte e il cambiamento
5. La moralità e l'etica
'Comprendere il corpo; Abbracciando il fisico. Rilassarsi in azione e
movimento. Movimento cosciente. Muoversi consapevolmente. Comprendere la
necessità di azione etica, a livello intuitivo, o istintuale. Si ossa di
estendere oltre i confini confortevoli, con piedi nudi.'
'Personalmente, ho trovato il fisico di essere il più impegnativo dei cinque
aspetti. Questo è per ragioni personali chiare e precise, che derivano dalla
creazione di un modello di comportamento molto vicino a quello di
autolesionismo nella mia adolescenza. In un certo senso ho agito, per molti
anni, una negazione della fisica, una sorta di spinta a separarmi dai confini
ei limiti del corpo fisico per entrare in un modo di vivere che era sconfinato
e saturi nella promesse spirituale. Questo modo di vivere mi ha fatto spingere
il mio corpo oltre i limiti ragionevoli, fino a prelevare il sangue,
distruggendo l'ambiente fisico intorno con pugni: nocche sanguinosa colorati
con tagli e graffi, e pezzi di legno e plastica.
Quelle nocche sanguinose erano un tentativo di far tacere i sentimenti; per
attutire il disagio ed i messaggi che mi arrivavano attraverso il dolore che
sentivo di essere in un corpo.'
(*Ho avuto un po' di
difficoltà a decidere fra l'uso delle parole sentimenti e sensazione che
rappresentano il tema centrale di questo blog post. Ho deciso di usare tutti i
due, a volte uno o l'altro, a volte insieme. Le sensazione non sono l'emozione,
ma la parola sensazione da sola non cattura il fatto che a volte sentiamo un
sentimento dentro una sensazione che li da un gusto, un sapore. Potrei dire che
il senso è le sensazione pure combinate con le sensazione insaporite con un
sentimento.)
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È molto più facile per me oggettivare ed evidenziare le sfide e le insidie del
vissuto emotivo, ma la fisica mi aveva perplesso su dove iniziare con il
secondo post di questa serie. In cerca di un varco da cui qualche filo creativo
e articolato potrebbe srotolare, ho dovuto attendere pazientemente, ed era il
dolore e il disagio che veniva a stimolare il pensiero, e che mi ha ricordato
quanto condizionato la mia esperienza del fisico è stato, e continua ad essere,
da separazione dalle sensazioni primordiali che sono gli ignudi,
incondizionato, esperienza disinibito della presenza nel fisico, proprio qui e
ora.
Il corpo è sempre un richiamo, anche quando ci risvegliamo, della Prima Nobile
Verità; c'è la sofferenza. Questa verità non va via mentre siamo in forma
fisica. Possiamo diventare bravissimi ad evitare la malattia, infortunio e
disagio, ma la sofferenza è sempre poco distante; nascosta in incidenti,
raffreddori, sforzi eccessivi, e sentimenti di disagio.
La sofferenza è spesso percepita come un concetto molto pessimista da chi si
avvicina al buddismo al inizio e molti autori e insegnanti si sono affrettati a
precisare che una traduzione migliore di entrambi il Tibetano e Pali potrebbe
essere 'disagio', o meglio ancora, 'insoddisfazione'. Io, per un po' almeno,
ero d'accordo con loro con tutto il cuore, coinvolto in uno stato di negazione
lungo. La sofferenza era in realtà la traduzione sbagliata ho pensato, il
disagio come termine e concetto aveva sicuramente più senso nella nostra
società moderna, con la sua assistenza sanitaria moderna, le diete moderne, i
comfort moderni e il mito moderno del fine di tutte le sgradevolezza e la
disuguaglianza. Ero proprio convinto, ma una problema si presenta quando si
inizia ad aprire gli occhi, aprirli davvero ad andare oltre i concetti e
l'interpretazione, si vede che la vita è davvero saturo di sofferenza e che il
disagio e la soddisfazione sono in realtà solo le sue forme più sottile.
Una seconda questione è che spesso si riferiscono alla termine di sofferenza a
qualcosa di troppo drammatico, come le gambe rotte, il cancro, o la perdita di
un occhio, e per la maggior parte di noi questo ovviamente non cattura il
nostro esperienza quotidiana. La sofferenza si mostra anche nel piccolo, minori
e sottile. Si nasconde nella schiena rigida che sentiamo quando ci alziamo dal
letto, il male di testa alla fine del lavoro, la pesantezza del nostro corpo
quando siamo stanchi e affamati, o la fatica nelle gambe di camminare per la
città. La sofferenza è chiara e presente nel corpo e nonostante le tentativi di
ignorarla. Siamo tutti al corrente di sua influenza.
La prima nobile verità della sofferenza diventa una problema perché tendiamo di
ignorarla, o di classificarla come qualcosa di evitare, o mandare via. Come
abbiamo visto nel precedente post, dove parlavo di come sopprimiamo le emozioni
e come invece dobbiamo imparare di farle fluire, come quando sopprimiamo la
nostra rabbia e la depressione, sopprimiamo allo stesso tempo la nostra
capacità di essere felici, di connetterci, e di vivere la gioia di esperienza e
di rilascio. Lo stesso vale per il corpo. Chiudiamo gli'occhi ogni giorno alla
sofferenza e così facendo, ci stacchiamo dai nostri sentimenti. Questo ci si
disconnette dal nostro corpo e ciò che ci circonda, e spesso un'ossessione con
la felicità si sviluppa in modo da riempire il buco che rimane.
Perché ci viene insegnato dalla società moderna che la soddisfazione e la
felicità sono il nostro diritto di nascita e che la vita ci deve attutire dalla
sgradevolezza del mondo, spingiamo lontano alcun segno che questo modello
potrebbe essere una falsa promessa. Attutiamo il dolore di un mal di testa con
un aspirina o ibuprofene. Indossiamo indumenti eccezionale per separarci dal
freddo, il vento e la pioggia. Ci isoliamo dal calore con l'aria condizionata.
Questi sono alcuni dei metodi che ci ha convinto che dovremmo stare tranquillo
e comodo nel nostro corpo tutto il tempo, e mai sentirci male. Questa
dipendenza di comfort ci guida in una ricerca di sentimenti prevedibili o
ambiti che spesso vengono invocati attraverso la manipolazione emotiva
(ricordate che ogni direzione nutre gli altri sulla ruota) attraverso la TV
realtà, la tossicodipendenza, la dipendenza da cioccolato, il consumo di caffè
in eccesso, l'attività fisica intensa, in verità i comportamenti ossessivi di
qualsiasi tipo.
Il sentire è la chiave. Qui, la cosa interessante è di meditare su
come tendiamo a basare gran parte della nostra vita sulla caccia, o il
aggrappare, una specifica e limitata serie di sensazione sentimenti. Avevo
capito nella fase iniziale del mio percorso di crescita e ricerca di conoscenza
che i sensazioni governano l'attrazione e repulsione, e questi due governano
quasi tutte le nostre decisioni. Creiamo un campo limitato di sentimenti, poi
ci spostiamo intorno a quel campo vivendo la nostra attrazione e repulsione
come un dinamico di tiro e mola. E' raro che mettiamo in discussione il gioco,
al meno che non arriva un crisi, o una sfida che non può essere ignorata, o ci
troviamo costretti a cambiare.
C'è quindi un rapporto profondo e potente tra il nostro campo dei sensazioni e
il desiderio di separarsi dal disagio, che è molto soggettiva e personalizzata:
il piacere di un uomo è il dolore di un altro: Questa accoppiata con la nostra
cecità verso il livello di sofferenza attuale, sia dentro che fuori, e il
nostro sospetto di sensazioni sconosciute, porta ad una cecità volontaria della
natura cruda e caotica del mondo che è quasi inevitabile. Cerchiamo ordine e
prevedibilità per rafforzare la gabbia finta nel quale viviamo.
Il lavorare con i sensazioni vuol dire iniziare lentamente a conoscere noi
stessi con ciò che è effettivamente in atto nel nostro corpo. Lavoriamo con le
sensazioni di base che compongono la sensazione di essere incarnato.
Permettiamo a qualunque sensazione che è presente di esistere così com'è. I
modelli di desiderare certe sensazioni prevedibile emergono ancora e ancora, e
ancora e ancora, e li lasciamo andare evitando di dargli attenzioni. Il
repulsione e dopo il tentativo di allontanare le sensazioni spiacevoli fa
esattamente la stessa cosa, e cioè lasciamo andare anche e durante tutto
questo, resistiamo all'impulso intenso di saltare e correre via. Il nostro
lavoro è sempre e soprattutto di lavorare con le sensazioni piacevole o
spiacevole emergere e di essere senza identificarci con esse. Questo è noto
come la consapevolezza del corpo.
La cosa interessante qui è come questo approccio ci mette di fronte la dinamica
innata di fuga. Si gioca sulla dualità profonda di libertà e di
intrappolamento. Noi vogliamo essere liberi, ma siamo estremamente terrificati
dell'ignoto e la reale possibilità di libertà. Temiamo l'intrappolamento, ma
vogliamo la vita ad essere prevedibile, e per i sensazioni di confermare ciò
che noi chiamiamo la nostra normalità. Questa trappola dualistica ci mantiene
confusi e ciechi alle alternative. Funziona sia a livello individuale e
collettivo; il nostro campo di sensazione e sentimenti è stabilita e sostenuta
dalla società in cui viviamo, o meglio le regole su ciò che dovremo o non
dovremo sentire più spesso vengono definiti dalla società in cui siamo nati, e
in seguito, scegliamo.
Spesso si confonde i sentimenti e le sensazione con le emozioni, ma non sono
esattamente la stessa cosa. Quando si arrabbia, si dice di sentire arrabbiato.
L'emozione è la rabbia, ma come si esprime nel corpo e nel nostro rapporto
immediato con l'ambiente? La rabbia esplode o implode sempre, così nel
esplodere potremo ipotizzare che segue in questa maniera: ho la tensione nelle
mie mani, il mio respiro è diventato superficiale, sale nel petto, quasi
ansimante, le mie spalle sono arcuati e sento una tensione ardente nel mio
ventre. La mia mascella è stretta e sto digrignando i denti.
Osservare e respirare insieme
con le sensazioni apre profondamente una porta alla comprensione e alla libertà
dalla reazione automatiche e sprigiona energia intrappolata.
La tristezza è coinvolgente per molte persone, per altri, è da evitare. Ci
porta a sentirci un peso al centro del cuore, un peso crescente alla gola, la
fronte diventa pesante, un affondamento delle spalle accade. Spesso ci porta
vicino a vecchie ferite, e ci sposta fuori dalla ricerca adolescenziale di
divertimento e la caccia attiva di piaceri temporanei. La tristezza fa però
parte della nostra ricca esperienza umana. Possiamo permetterci di viverla così
com'è e quando facciamo la meditazione non infonderla con una storia. Quando
facciamo così, spesso, ci permette di approfondire la nostra connessione con
gli altri e alla grazia della condizione umana.
Unendo l'attenzione, la consapevolezza e la presenza con i sensazioni ci porta
ad essere satura di sensazioni. Se siamo in grado di rimanere all'interno di
questo processo, ci togliamo le maschere per un po'. Tocchiamo la terra, e il
nostro centro del cuore, e diventiamo più nudo a noi stessi, per un momento ci
sentiamo fragile, tenere e reale. Se continuiamo a rimanere fuori di reazione e
di identificazione con cioè che sentiamo, il modello rivela una verità più
profonda e quindi otteniamo un passo avanti nella conoscenza di come viviamo
fin'ora. Questo è un momento magico in un certo senso, e questo abbracciare la
nostra umanità, può portarci ad un senso più tangibile del grande mistero
dell'essere.
Ogni persona deve essere sensibile ai propri limiti, ma il percorso qui sarebbe
quello di smettere di fuggire dai sentimenti e le sensazione. Quando siamo
seduti le permettiamo di emergere e rimanere per la loro durata. In termini
puramente meditative, quando siamo seduti sul cuscino, semplicemente osserviamo
e lasciamo che ciò che arriva sorge e cade con il respiro. Questa è la pratica
essenziale. Quando sviluppiamo un maggiore capacità di restare fuori di
identificazione con i sentimenti e le sensazione, cominciamo a vedere e capire
che tanti di cioè esistono per rafforzare il nostro concetto di sé, e la nostra
identità. Nel approfondire la pratica, la nostra identificazione con un senso
fisso di sé scioglie e ci mostra come gran parte di ciò che sentiamo non è
nostro, ma è condiviso, è collettivo, e ci rivela quanto vero è
l'interdipendenza.
In realtà la pratica è molto
impegnativo e richiede coraggio e dedizione. Non è per i timidi. In realtà, va
contro le forme di spiritualità superficiale che fanno finta di dare la
garanzia della felicità e che tentano di convincervi che siete in controllo del
vostro mondo.
La pratica non è di negare le emozione o raffreddare le sensazione perché
sentire significa essere viva. Le sensazione e le emozione ci connettono alla
nostra umanità di base e la nostra capacità di sviluppare ed esprimere le
espressioni più illuminata come la compassione, e l'empatia, e l'amore
universale. Il controllare l'emozioni e i sentimenti è proprio il regno dello
psicopatico ed è il percorso di disumanizzazione. Più ci si allontana dal
intimità con i sentimenti, quanto più ci allontaniamo dalla nostra umanità di
base e la nostra capacità di connetterci agli altri.
A livello sciamanico, i nostri
sentimenti sono visti come un invito al potere. Sentimenti, una volta ripuliti
delle loro ruolo di auto-affermazione, iniziano ad agire come messaggeri che ci
indicano la via da seguire, o ci insegnano. I sentimenti e sensazione diventano
la chiave per il crescere il potere personale. Agiscono anche come un sistema
di allarme. Quello che non diventano però è il condotti per le reazione
emotive.
Nel sciamanesimo la morte si siede con il corpo nel ovest della ruota. Ma non
da solo perché è accompagnata da la magia, il mistero, il potere e la forza.
Questo fascio di qualità si combinano, si informa l'uno l'altro, sussurrando
segreti che deve essere sentita e vissuta per essere conosciuti. Il mondo
minerale è uno dei grandi maestri dell'ovest Le rocce, pietre e minerali ci
insegnano la capacità di mantenere presenza con grande silenzio. Per essere
semplicemente come siamo con poco ornamento. Essi ci insegnano di stabilità,
che si ottiene attraverso la presenza nel fisico.
Lavorare con successo con le sensazioni ci porta a una maggiore presenza sia
nel nostro corpo sia nel mondo materiale che ci circonda. Possiamo cominciare a
percepire, mentre facciamo più strada, come i nostri pensieri hanno la pessima
abitudine di portarci lontano dalla esperienza diretta. Questi pensieri
filtrano esperienza attraverso una miriade di credenze e punti di vista, che
agiscono per distrarci dalla semplicità del presente. Ancorare noi stessi nel
nostro corpo contrasta l'astrazione impulsivo della mente pensante. La capacità
di sentire profondamente il nostro corpo e il fisico, porta la nostra energia
lontano dal sostenere questi cicli di pensiero e ci ancoraggi in questo
momento. Una cosa divertente che succede quando facciamo questo lavoro con successo
è di avere l'esperienza di fare un passo fuori di un set cinematografico, o un
incantesimo ubriacante molto lungo. Ti guardi intorno e ti rendi conto che sei
sveglia: niente di troppo grande o speciale, semplicemente presente senza
difese nel qui e ora.
Poi si comincia a separarsi da questa semplicità, facendosi prendere dal
bisogno di affermare se stesso come un essere separato, e fisso, e vero. Le
esigenza della vita ci invitano di nuovo di tornare al nostro solito modo di
essere. Ci sediamo di nuovo pero per continuare il processo e con impegno e il
tempo, diventa più facile a permetterci di uscire con coscienza nel mondo e con
maggiore frequenza. Una delle trappole comune che si verifica all'interno di
questo processo è quello di attaccarsi ai momenti fugaci di presenza. Questo è
come afferrare il vento: inutile ed impossibile. Perché la presenza in realtà
non significa fermarsi, di mantenere la presenza è di vivere all'interno del
processo dell'essere. Un'altra trappola è il desiderio di avere la semplicità
infondere ogni aspetto della nostra vita. Si inizia spesso con una frase sulla
falsariga di 'Se solo potessi fermare tutta questa confusione e complicazione
...' Questo diventa un meccanismo di fuga. Anche se la presenza è radicata
nella semplicità, non significa che il mondo diventerà più semplice. Il mondo
continua ad essere complesso, dualistica, è il luogo stimolante che è.
Prima o poi questo processo ci porta faccia a faccia con la morte. Per
sostenere la capacità di rimanere nel qui ed ora significa lasciarsi morire e
rinascere in ogni istante. E' un altro riflesso del dualismo profondo che segna
la vita. Quanto più ci svegliamo e vivere ogni momento, tanto più dobbiamo
permetterci volontariamente di morire e rinascere ogni giorno. La vita porta la
morte e la morte porta la vita. Poiché non esiste un sé permanente fisso,
diventa ovvio che siamo un processo.
Il rilassamento profondo ci aiuta a stabilire questo nuovo modello di relazione
con le sensazione e i sentimenti, anche se spesso ci mette in contatto con
vecchi dolori, e magari anche nuove dolore. La buona notizia è che ci permette
anche di accedere ad un livello più profondo e più ricco di piacere, di
collegamento e di sentimento. Non ci sono garanzie per ciò che accadrà. Questo
fa parte delle conseguenze non intenzionali di liberare gli strati di
condizionamento, e di avvicinarsi al mistero dell'essere.
L'apertura a questo processo ci porta eventualmente a sperimentare il corpo
come il grande veicolo che è; e come un atto sacro di grazia che sia
intensamente bello, sia incredibilmente fragile. La pratica tradizionale di
apprezzare il nostro 'preziosa esistenza umana' nel buddismo non è sbagliato.
Questa vita che io e te stiamo vivendo, in questo momento, è così profondamente
elegante, che è difficile esprimere a parole. Una tale profondità di sentimento
non può che essere realmente sperimentato direttamente, abbracciato, accettato
e poi lasciata andare per rinascere in un altro momento.
Quando impariamo a sentire profondamente siamo umiliati dalla immensità della
vita e la semplicità dell'essere. Quando siamo in grado di portare dentro di
noi tale umiltà come un aspetto del nostro essere naturale, iniziamo a vivere
la vita molto più semplice e rallentiamo; vediamo più chiaramente ciò che sta
accadendo intorno a noi e nel mondo, e rispondiamo al meglio che possiamo.
Questo ci porta al punto finale, quello dell'etica e della moralità. Etica qui
significa non reagire ai sentimenti, ma lasciali comunicare. I nostri istinti,
il nostri intuiti, ci aiutano a rispondere alle situazioni nel miglior modo
possibile quando siamo fuori di reazione, e fondati nel nostro corpo. Non è una
espressione razionale, o logico, ma una risposta sentita e senza
interpretazione chiamata dalla vita. La morale diventa un profondo impegno di
non allontanarsi da esperienza diretta, sia dentro che fuori. Il nostro potere
personale è direttamente dipendente dalla nostra presenza fisica ed è quella
che ci permette di agire più o meno efficacemente
Il mantenimento di questo modo di essere non è così facile. Viene dapprima in
brevi lampi di coraggio, e si tende a sfidarci enormemente quando siamo via dal
cuscino di meditazione. Diventa una presenza sempre più forte con il tempo, ci
ricorda di agire in maniera responsabile, di fare ciò che è necessario, a
comportarsi in maniera impeccabile, e di lasciare andare il nostro incessante
istinto di autoconservazione per tenere un rapporto con l'esperienza diretta.
Manifestare questa azione giusta può prenderci una vita intera da imparare,
soprattutto perché nel scandagliare le profondità del nostro essere e
resistenza, nuovi modelli nascono per tenerci girare in tondo sulla ruota della
vita. Quando ciò accade, si sede, respiri e rilassati. Assumi la postura
corretta e segui il respiro invitando l'esperienza presente di portarti più
profonda.
*Spero che trovi questo pezzo
stimolante. Essendo una tema ricca e così complessa pesno che sia necessario
scrivere di più sulla tema di potere personale, che ha poco presenza nei
discorsi di buddismo, e la tema profondamente buddista della morte che è veramente
il chiave per apririe la porta a quello che ho scritto sopra.