Friday, 18 November 2011

Buddismo, ti presento lo sciamanesimo (Pt.2) (ENGLISH version follows this post)

Buddismo, ti presento lo sciamanesimo (Pt.2) (ENGLISH version follows this post)
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Il Corpo (L'ovest)

1. Lavorare con le sensazioni
2. Sviluppare la propria presenza nel fisico e mondo materiale
3. Rilassamento profondo nel corpo
4. Affrontare la morte e il cambiamento
5. La moralità e l'etica

'Comprendere il corpo; Abbracciando il fisico. Rilassarsi in azione e movimento. Movimento cosciente. Muoversi consapevolmente. Comprendere la necessità di azione etica, a livello intuitivo, o istintuale. Si ossa di estendere oltre i confini confortevoli, con piedi nudi.'

'Personalmente, ho trovato il fisico di essere il più impegnativo dei cinque aspetti. Questo è per ragioni personali chiare e precise, che derivano dalla creazione di un modello di comportamento molto vicino a quello di autolesionismo nella mia adolescenza. In un certo senso ho agito, per molti anni, una negazione della fisica, una sorta di spinta a separarmi dai confini ei limiti del corpo fisico per entrare in un modo di vivere che era sconfinato e saturi nella promesse spirituale. Questo modo di vivere mi ha fatto spingere il mio corpo oltre i limiti ragionevoli, fino a prelevare il sangue, distruggendo l'ambiente fisico intorno con pugni: nocche sanguinosa colorati con tagli e graffi, e pezzi di legno e plastica.
Quelle nocche sanguinose erano un tentativo di far tacere i sentimenti; per attutire il disagio ed i messaggi che mi arrivavano attraverso il dolore che sentivo di essere in un corpo.'

(*Ho avuto un po' di difficoltà a decidere fra l'uso delle parole sentimenti e sensazione che rappresentano il tema centrale di questo blog post. Ho deciso di usare tutti i due, a volte uno o l'altro, a volte insieme. Le sensazione non sono l'emozione, ma la parola sensazione da sola non cattura il fatto che a volte sentiamo un sentimento dentro una sensazione che li da un gusto, un sapore. Potrei dire che il senso è le sensazione pure combinate con le sensazione insaporite con un sentimento.)

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È molto più facile per me oggettivare ed evidenziare le sfide e le insidie del vissuto emotivo, ma la fisica mi aveva perplesso su dove iniziare con il secondo post di questa serie. In cerca di un varco da cui qualche filo creativo e articolato potrebbe srotolare, ho dovuto attendere pazientemente, ed era il dolore e il disagio che veniva a stimolare il pensiero, e che mi ha ricordato quanto condizionato la mia esperienza del fisico è stato, e continua ad essere, da separazione dalle sensazioni primordiali che sono gli ignudi, incondizionato, esperienza disinibito della presenza nel fisico, proprio qui e ora.

Il corpo è sempre un richiamo, anche quando ci risvegliamo, della Prima Nobile Verità; c'è la sofferenza. Questa verità non va via mentre siamo in forma fisica. Possiamo diventare bravissimi ad evitare la malattia, infortunio e disagio, ma la sofferenza è sempre poco distante; nascosta in incidenti, raffreddori, sforzi eccessivi, e sentimenti di disagio.

La sofferenza è spesso percepita come un concetto molto pessimista da chi si avvicina al buddismo al inizio e molti autori e insegnanti si sono affrettati a precisare che una traduzione migliore di entrambi il Tibetano e Pali potrebbe essere 'disagio', o meglio ancora, 'insoddisfazione'. Io, per un po' almeno, ero d'accordo con loro con tutto il cuore, coinvolto in uno stato di negazione lungo. La sofferenza era in realtà la traduzione sbagliata ho pensato, il disagio come termine e concetto aveva sicuramente più senso nella nostra società moderna, con la sua assistenza sanitaria moderna, le diete moderne, i comfort moderni e il mito moderno del fine di tutte le sgradevolezza e la disuguaglianza. Ero proprio convinto, ma una problema si presenta quando si inizia ad aprire gli occhi, aprirli davvero ad andare oltre i concetti e l'interpretazione, si vede che la vita è davvero saturo di sofferenza e che il disagio e la soddisfazione sono in realtà solo le sue forme più sottile.

Una seconda questione è che spesso si riferiscono alla termine di sofferenza a qualcosa di troppo drammatico, come le gambe rotte, il cancro, o la perdita di un occhio, e per la maggior parte di noi questo ovviamente non cattura il nostro esperienza quotidiana. La sofferenza si mostra anche nel piccolo, minori e sottile. Si nasconde nella schiena rigida che sentiamo quando ci alziamo dal letto, il male di testa alla fine del lavoro, la pesantezza del nostro corpo quando siamo stanchi e affamati, o la fatica nelle gambe di camminare per la città. La sofferenza è chiara e presente nel corpo e nonostante le tentativi di ignorarla. Siamo tutti al corrente di sua influenza.

La prima nobile verità della sofferenza diventa una problema perché tendiamo di ignorarla, o di classificarla come qualcosa di evitare, o mandare via. Come abbiamo visto nel precedente post, dove parlavo di come sopprimiamo le emozioni e come invece dobbiamo imparare di farle fluire, come quando sopprimiamo la nostra rabbia e la depressione, sopprimiamo allo stesso tempo la nostra capacità di essere felici, di connetterci, e di vivere la gioia di esperienza e di rilascio. Lo stesso vale per il corpo. Chiudiamo gli'occhi ogni giorno alla sofferenza e così facendo, ci stacchiamo dai nostri sentimenti. Questo ci si disconnette dal nostro corpo e ciò che ci circonda, e spesso un'ossessione con la felicità si sviluppa in modo da riempire il buco che rimane.

Perché ci viene insegnato dalla società moderna che la soddisfazione e la felicità sono il nostro diritto di nascita e che la vita ci deve attutire dalla sgradevolezza del mondo, spingiamo lontano alcun segno che questo modello potrebbe essere una falsa promessa. Attutiamo il dolore di un mal di testa con un aspirina o ibuprofene. Indossiamo indumenti eccezionale per separarci dal freddo, il vento e la pioggia. Ci isoliamo dal calore con l'aria condizionata. Questi sono alcuni dei metodi che ci ha convinto che dovremmo stare tranquillo e comodo nel nostro corpo tutto il tempo, e mai sentirci male. Questa dipendenza di comfort ci guida in una ricerca di sentimenti prevedibili o ambiti che spesso vengono invocati attraverso la manipolazione emotiva (ricordate che ogni direzione nutre gli altri sulla ruota) attraverso la TV realtà, la tossicodipendenza, la dipendenza da cioccolato, il consumo di caffè in eccesso, l'attività fisica intensa, in verità i comportamenti ossessivi di qualsiasi tipo.


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Il sentire è la chiave. Qui, la cosa interessante è di meditare su come tendiamo a basare gran parte della nostra vita sulla caccia, o il aggrappare, una specifica e limitata serie di sensazione sentimenti. Avevo capito nella fase iniziale del mio percorso di crescita e ricerca di conoscenza che i sensazioni governano l'attrazione e repulsione, e questi due governano quasi tutte le nostre decisioni. Creiamo un campo limitato di sentimenti, poi ci spostiamo intorno a quel campo vivendo la nostra attrazione e repulsione come un dinamico di tiro e mola. E' raro che mettiamo in discussione il gioco, al meno che non arriva un crisi, o una sfida che non può essere ignorata, o ci troviamo costretti a cambiare.

C'è quindi un rapporto profondo e potente tra il nostro campo dei sensazioni e il desiderio di separarsi dal disagio, che è molto soggettiva e personalizzata: il piacere di un uomo è il dolore di un altro: Questa accoppiata con la nostra cecità verso il livello di sofferenza attuale, sia dentro che fuori, e il nostro sospetto di sensazioni sconosciute, porta ad una cecità volontaria della natura cruda e caotica del mondo che è quasi inevitabile. Cerchiamo ordine e prevedibilità per rafforzare la gabbia finta nel quale viviamo.

Il lavorare con i sensazioni vuol dire iniziare lentamente a conoscere noi stessi con ciò che è effettivamente in atto nel nostro corpo. Lavoriamo con le sensazioni di base che compongono la sensazione di essere incarnato. Permettiamo a qualunque sensazione che è presente di esistere così com'è. I modelli di desiderare certe sensazioni prevedibile emergono ancora e ancora, e ancora e ancora, e li lasciamo andare evitando di dargli attenzioni. Il repulsione e dopo il tentativo di allontanare le sensazioni spiacevoli fa esattamente la stessa cosa, e cioè lasciamo andare anche e durante tutto questo, resistiamo all'impulso intenso di saltare e correre via. Il nostro lavoro è sempre e soprattutto di lavorare con le sensazioni piacevole o spiacevole emergere e di essere senza identificarci con esse. Questo è noto come la consapevolezza del corpo.

La cosa interessante qui è come questo approccio ci mette di fronte la dinamica innata di fuga. Si gioca sulla dualità profonda di libertà e di intrappolamento. Noi vogliamo essere liberi, ma siamo estremamente terrificati dell'ignoto e la reale possibilità di libertà. Temiamo l'intrappolamento, ma vogliamo la vita ad essere prevedibile, e per i sensazioni di confermare ciò che noi chiamiamo la nostra normalità. Questa trappola dualistica ci mantiene confusi e ciechi alle alternative. Funziona sia a livello individuale e collettivo; il nostro campo di sensazione e sentimenti è stabilita e sostenuta dalla società in cui viviamo, o meglio le regole su ciò che dovremo o non dovremo sentire più spesso vengono definiti dalla società in cui siamo nati, e in seguito, scegliamo.

Spesso si confonde i sentimenti e le sensazione con le emozioni, ma non sono esattamente la stessa cosa. Quando si arrabbia, si dice di sentire arrabbiato. L'emozione è la rabbia, ma come si esprime nel corpo e nel nostro rapporto immediato con l'ambiente? La rabbia esplode o implode sempre, così nel esplodere potremo ipotizzare che segue in questa maniera: ho la tensione nelle mie mani, il mio respiro è diventato superficiale, sale nel petto, quasi ansimante, le mie spalle sono arcuati e sento una tensione ardente nel mio ventre. La mia mascella è stretta e sto digrignando i denti.

Osservare e respirare insieme con le sensazioni apre profondamente una porta alla comprensione e alla libertà dalla reazione automatiche e sprigiona energia intrappolata.

La tristezza è coinvolgente per molte persone, per altri, è da evitare. Ci porta a sentirci un peso al centro del cuore, un peso crescente alla gola, la fronte diventa pesante, un affondamento delle spalle accade. Spesso ci porta vicino a vecchie ferite, e ci sposta fuori dalla ricerca adolescenziale di divertimento e la caccia attiva di piaceri temporanei. La tristezza fa però parte della nostra ricca esperienza umana. Possiamo permetterci di viverla così com'è e quando facciamo la meditazione non infonderla con una storia. Quando facciamo così, spesso, ci permette di approfondire la nostra connessione con gli altri e alla grazia della condizione umana.

Unendo l'attenzione, la consapevolezza e la presenza con i sensazioni ci porta ad essere satura di sensazioni. Se siamo in grado di rimanere all'interno di questo processo, ci togliamo le maschere per un po'. Tocchiamo la terra, e il nostro centro del cuore, e diventiamo più nudo a noi stessi, per un momento ci sentiamo fragile, tenere e reale. Se continuiamo a rimanere fuori di reazione e di identificazione con cioè che sentiamo, il modello rivela una verità più profonda e quindi otteniamo un passo avanti nella conoscenza di come viviamo fin'ora. Questo è un momento magico in un certo senso, e questo abbracciare la nostra umanità, può portarci ad un senso più tangibile del grande mistero dell'essere.

Ogni persona deve essere sensibile ai propri limiti, ma il percorso qui sarebbe quello di smettere di fuggire dai sentimenti e le sensazione. Quando siamo seduti le permettiamo di emergere e rimanere per la loro durata. In termini puramente meditative, quando siamo seduti sul cuscino, semplicemente osserviamo e lasciamo che ciò che arriva sorge e cade con il respiro. Questa è la pratica essenziale. Quando sviluppiamo un maggiore capacità di restare fuori di identificazione con i sentimenti e le sensazione, cominciamo a vedere e capire che tanti di cioè esistono per rafforzare il nostro concetto di sé, e la nostra identità. Nel approfondire la pratica, la nostra identificazione con un senso fisso di sé scioglie e ci mostra come gran parte di ciò che sentiamo non è nostro, ma è condiviso, è collettivo, e ci rivela quanto vero è l'interdipendenza.

In realtà la pratica è molto impegnativo e richiede coraggio e dedizione. Non è per i timidi. In realtà, va contro le forme di spiritualità superficiale che fanno finta di dare la garanzia della felicità e che tentano di convincervi che siete in controllo del vostro mondo.

La pratica non è di negare le emozione o raffreddare le sensazione perché sentire significa essere viva. Le sensazione e le emozione ci connettono alla nostra umanità di base e la nostra capacità di sviluppare ed esprimere le espressioni più illuminata come la compassione, e l'empatia, e l'amore universale. Il controllare l'emozioni e i sentimenti è proprio il regno dello psicopatico ed è il percorso di disumanizzazione. Più ci si allontana dal intimità con i sentimenti, quanto più ci allontaniamo dalla nostra umanità di base e la nostra capacità di connetterci agli altri.

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A livello sciamanico, i nostri sentimenti sono visti come un invito al potere. Sentimenti, una volta ripuliti delle loro ruolo di auto-affermazione, iniziano ad agire come messaggeri che ci indicano la via da seguire, o ci insegnano. I sentimenti e sensazione diventano la chiave per il crescere il potere personale. Agiscono anche come un sistema di allarme. Quello che non diventano però è il condotti per le reazione emotive.

Nel sciamanesimo la morte si siede con il corpo nel ovest della ruota. Ma non da solo perché è accompagnata da la magia, il mistero, il potere e la forza. Questo fascio di qualità si combinano, si informa l'uno l'altro, sussurrando segreti che deve essere sentita e vissuta per essere conosciuti. Il mondo minerale è uno dei grandi maestri dell'ovest Le rocce, pietre e minerali ci insegnano la capacità di mantenere presenza con grande silenzio. Per essere semplicemente come siamo con poco ornamento. Essi ci insegnano di stabilità, che si ottiene attraverso la presenza nel fisico.

Lavorare con successo con le sensazioni ci porta a una maggiore presenza sia nel nostro corpo sia nel mondo materiale che ci circonda. Possiamo cominciare a percepire, mentre facciamo più strada, come i nostri pensieri hanno la pessima abitudine di portarci lontano dalla esperienza diretta. Questi pensieri filtrano esperienza attraverso una miriade di credenze e punti di vista, che agiscono per distrarci dalla semplicità del presente. Ancorare noi stessi nel nostro corpo contrasta l'astrazione impulsivo della mente pensante. La capacità di sentire profondamente il nostro corpo e il fisico, porta la nostra energia lontano dal sostenere questi cicli di pensiero e ci ancoraggi in questo momento. Una cosa divertente che succede quando facciamo questo lavoro con successo è di avere l'esperienza di fare un passo fuori di un set cinematografico, o un incantesimo ubriacante molto lungo. Ti guardi intorno e ti rendi conto che sei sveglia: niente di troppo grande o speciale, semplicemente presente senza difese nel qui e ora.

Poi si comincia a separarsi da questa semplicità, facendosi prendere dal bisogno di affermare se stesso come un essere separato, e fisso, e vero. Le esigenza della vita ci invitano di nuovo di tornare al nostro solito modo di essere. Ci sediamo di nuovo pero per continuare il processo e con impegno e il tempo, diventa più facile a permetterci di uscire con coscienza nel mondo e con maggiore frequenza. Una delle trappole comune che si verifica all'interno di questo processo è quello di attaccarsi ai momenti fugaci di presenza. Questo è come afferrare il vento: inutile ed impossibile. Perché la presenza in realtà non significa fermarsi, di mantenere la presenza è di vivere all'interno del processo dell'essere. Un'altra trappola è il desiderio di avere la semplicità infondere ogni aspetto della nostra vita. Si inizia spesso con una frase sulla falsariga di 'Se solo potessi fermare tutta questa confusione e complicazione ...' Questo diventa un meccanismo di fuga. Anche se la presenza è radicata nella semplicità, non significa che il mondo diventerà più semplice. Il mondo continua ad essere complesso, dualistica, è il luogo stimolante che è.

Prima o poi questo processo ci porta faccia a faccia con la morte. Per sostenere la capacità di rimanere nel qui ed ora significa lasciarsi morire e rinascere in ogni istante. E' un altro riflesso del dualismo profondo che segna la vita. Quanto più ci svegliamo e vivere ogni momento, tanto più dobbiamo permetterci volontariamente di morire e rinascere ogni giorno. La vita porta la morte e la morte porta la vita. Poiché non esiste un sé permanente fisso, diventa ovvio che siamo un processo.

Il rilassamento profondo ci aiuta a stabilire questo nuovo modello di relazione con le sensazione e i sentimenti, anche se spesso ci mette in contatto con vecchi dolori, e magari anche nuove dolore. La buona notizia è che ci permette anche di accedere ad un livello più profondo e più ricco di piacere, di collegamento e di sentimento. Non ci sono garanzie per ciò che accadrà. Questo fa parte delle conseguenze non intenzionali di liberare gli strati di condizionamento, e di avvicinarsi al mistero dell'essere.
L'apertura a questo processo ci porta eventualmente a sperimentare il corpo come il grande veicolo che è; e come un atto sacro di grazia che sia intensamente bello, sia incredibilmente fragile. La pratica tradizionale di apprezzare il nostro 'preziosa esistenza umana' nel buddismo non è sbagliato. Questa vita che io e te stiamo vivendo, in questo momento, è così profondamente elegante, che è difficile esprimere a parole. Una tale profondità di sentimento non può che essere realmente sperimentato direttamente, abbracciato, accettato e poi lasciata andare per rinascere in un altro momento.

Quando impariamo a sentire profondamente siamo umiliati dalla immensità della vita e la semplicità dell'essere. Quando siamo in grado di portare dentro di noi tale umiltà come un aspetto del nostro essere naturale, iniziamo a vivere la vita molto più semplice e rallentiamo; vediamo più chiaramente ciò che sta accadendo intorno a noi e nel mondo, e rispondiamo al meglio che possiamo.

Questo ci porta al punto finale, quello dell'etica e della moralità. Etica qui significa non reagire ai sentimenti, ma lasciali comunicare. I nostri istinti, il nostri intuiti, ci aiutano a rispondere alle situazioni nel miglior modo possibile quando siamo fuori di reazione, e fondati nel nostro corpo. Non è una espressione razionale, o logico, ma una risposta sentita e senza interpretazione chiamata dalla vita. La morale diventa un profondo impegno di non allontanarsi da esperienza diretta, sia dentro che fuori. Il nostro potere personale è direttamente dipendente dalla nostra presenza fisica ed è quella che ci permette di agire più o meno efficacemente

Il mantenimento di questo modo di essere non è così facile. Viene dapprima in brevi lampi di coraggio, e si tende a sfidarci enormemente quando siamo via dal cuscino di meditazione. Diventa una presenza sempre più forte con il tempo, ci ricorda di agire in maniera responsabile, di fare ciò che è necessario, a comportarsi in maniera impeccabile, e di lasciare andare il nostro incessante istinto di autoconservazione per tenere un rapporto con l'esperienza diretta. Manifestare questa azione giusta può prenderci una vita intera da imparare, soprattutto perché nel scandagliare le profondità del nostro essere e resistenza, nuovi modelli nascono per tenerci girare in tondo sulla ruota della vita. Quando ciò accade, si sede, respiri e rilassati. Assumi la postura corretta e segui il respiro invitando l'esperienza presente di portarti più profonda.

*Spero che trovi questo pezzo stimolante. Essendo una tema ricca e così complessa pesno che sia necessario scrivere di più sulla tema di potere personale, che ha poco presenza nei discorsi di buddismo, e la tema profondamente buddista della morte che è veramente il chiave per apririe la porta a quello che ho scritto sopra.



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